sabato 2 settembre 2017

LE VITE

"Cosa si accende nella nostra mente quando vediamo un'opera d'arte, una chiesa, un museo della nostra città? C'è almeno una corda che vibra, un seme che germoglia, una voce che ci parli davvero? qualcuno ci ha insegnato a nuotare nel mare dell'arte del passato? (...) Per la maggior parte degli italiani oggi, il patrimonio artistico è come un'immensa biblioteca stampata in un alfabeto sconosciuto. (...) Per cambiare tutto questo è indispensabile ricominciare ad educare gli italiani al patrimonio. Educare vuol dire, letteralmente, tirare fuori dalle persone ciò che in esse è già, almeno in potenza. E gli italiani hanno bisogno di ricominciare a parlare, fin da bambini, la lingua che hanno parlato per secoli meglio di tutti gli altri: la lingua delle immagini, delle forme, delle figure, dei colori."
(T. Montanari, Istruzioni per l'uso del futuro)

Quando Enzo Fileno Carabba mi disse che aveva iniziato a riscrivere Le Vite de' più eccellenti Pittori Scultori e Architetti di Giorgio Vasari (la prima edizione è datata 1550), non ho potuto non pensare alle parole di Montanari: all'importanza che può avere il dialogo tra gli uomini di oggi e quelli del passato, attraverso l'arte. Che sia scrittura di fronte a scrittura, illustrazione verso pittura, architettura verso scultura, poco importa. Rapportarsi all'arte del passato, studiarla, osservarla attentamente e magari appoggiarsi ad essa per farne di nuova è qualcosa che ci arricchisce, ci rende consapevoli di ciò che siamo ora e di ciò che siamo stati.
E' stato per me emozionante ripercorrere con la matita il San Giorgio di Donatello e scoprire, attraverso il chiaroscuro i volumi così lievi e nel contempo così profondi del bassorilievo; o immaginarmi il volto di Andrea del Castagno e disegnare il suo sguardo; colorare di rosso il sole che tramonta sul mare dove Fra' Filippo Lippi fu rapito dai pirati saraceni. Se è accaduto veramente non lo so, e non mi importa, perchè fino a poco fa per me Filippo Lippi era uno sbiadito ricordo di Accademia, un delicato pittore di madonne: ora non più, ora conosco il potere magico del suo disegno.

Preciso che io sto illustrando questi testi spinta da una forza sconosciuta; da quando Enzo, la scorsa primavera mi sottopose i primi capitoli e mi scrisse queste parole: "ho avuto la visione di te che le illustri, anche se capisco che può essere impegnativo", non ne posso fare a meno. Le visioni di quest'uomo, non so perchè, si realizzano spesso.

Pubblico qui le illustrazioni finora realizzate per questo progetto, accompagnati da brevi estratti dai testi di Enzo Fileno Carabba. Queste Vite sono state parzialmente pubblicate da Il Corriere Fiorentino; Enzo ed io, però, speriamo che prima o poi prendano...vita, appunto, anche in versione illustrata.



FILIPPO LIPPI
Un giorno se ne andava in giro per l'Adriatico, verso Ancona, sopra una barchetta insieme a certi amici, per divertimento. Furono catturati dai pirati saraceni, messi in catene e portati in Africa come schiavi. All'inizio fu terribile. Remò. Zappò. La prigionia durò un anno e mezzo. L'arte sembrava perduta per sempre. Una sera che era più morto che vivo, a Filippo venne voglia di raffigurare il padrone, il grande corsaro Abdul Maumen: senza dire una parola raccolse dal fuoco un carbone spento e gli fece il ritratto, vestito alla moresca, a figura intera, su un muro bianco. A tutti parve un miracolo, perché da quelle parti nessuno disegnava o dipingeva. Il padrone fu tanto colpito dalla sua arte che decise di liberare lui e i compagni. Filippo operò davvero un miracolo: invece di supplizio e morte ottenne libertà e affetto. Gloria alla forza che rende possibili simili eventi.



DONATELLO
Scolpì una Maddalena distrutta dalla santità, ma con uno sguardo vertiginoso che ancora tramortisce chi si trova di fronte a lei. Ormai le statue gli dicevano poche e stentate parole, ma di un'intensità abbacinante.  Stava diventando vecchio, aveva fatto molto, non aveva niente. I soldi li teneva in una borsa appesa a una fune e chiunque – amico o lavorante – prendeva quello che gli serviva. Non si sa come, i soldi finirono. Allora Piero de' Medici, figlio di Cosimo, gli regalò un podere, perché potesse vivere di rendita. Ma dopo un po' Donatello glielo rese dicendo che preferiva morire di fame che pensare al vento e alle galline.


ANDREA DEL CASTAGNO
Nacque nel Mugello, in un posto quasi invisibile chiamato il Castagno, ai piedi del Monte Falterona. Rimasto senza padre, fu accolto da uno zio che lo mise a fare il pastore, per molti anni. Andrea si rivelò un pastore brillante, ci metteva tutto se stesso. Ma vennero giorni di nuvole scure, giorni di pioggia nera, che era anche una pioggia interna: è brutto quando ti piove dentro. Per fuggire dalla pioggia capitò in un luogo dove non era mai stato. Un tabernacolo, dove uno di questi pittori  di campagna stava lavorando  a un'opera di poco pregio. A volte è nelle opere di poco pregio che vibra la più grande felicità. Andrea non aveva mai visto niente di simile, perché le pecore non dipingono. Fu assalito dalla meraviglia: guardò attentamente cosa stava facendo quell'uomo e gli venne il desiderio di imitarlo.



FILIPPO BRUNELLESCHI

Un giorno Donatello gli chiese: “Pippo, cosa ne pensi di questo crocifisso che ho scolpito?”. Brunelleschi: “Bello. Ma senti, perché hai crocifisso un contadino?” E Donatello: “Ah ecco. Fanne uno te allora”. Discutevano, ma sempre si sostenevano e si spronavano. Pippo non si arrabbiava mai, non disse niente, lavorò di nascosto. Mesi dopo  invitò a cena Donatello e con una scusa lo fece andare avanti da solo, così che nella penombra si trovò a tu per tu con quel Gesù di legno che - tanto era stupefacente -  gli fece cadere tutte le uova che portava nel grembiule per la cena.



BEATO ANGELICO

Fra' Giovanni da Fiesole cominciò giovanissimo a dipingere personaggi assorti nella grazia, frastornati dalla luce. Una volta mangiò col Papa che gli offrì della carne e lui non sapeva se accettarla, dato che non aveva avuto il permesso del priore. Era così immerso nella regola da essere libero: si era scordato dell'autorità del Papa. Amava sorvolare su tutto, forse anche per questo più tardi fu detto Angelico, e successivamente Beato. Gli facevano schifo le azioni del mondo e preferiva essere lasciato in pace. Avrebbe potuto comandare a molti, gli sembrò un'inutile fatica. Non si arrabbiò mai con gli altri frati e questo io stento a crederlo ma non posso escluderlo.



FILIPPINO LIPPI

Chiese a sua madre: “Perché papà che ha avuto una vita così agitata è riuscito a dipingere  immagini così tranquille e io che sono così tranquillo mi sento ribollire di immagini agitate?”. Lucrezia rispose: “Secondo me perché...” Ma era già ripartito per Milano dove incontrò  Leonardo da Vinci che gli disse: “Non importa vedere il rigo nero”. “Nelle persone?” “Neanche nei quadri”. Imparò che a volte è meglio non vedere tutto, sarebbe una noia. Leonardo gli raccontò la storia dell'unicorno. “Se incontra una donzella dimentica la sua ferocia e le si addormenta in grembo” “Davvero?” “Sicuro” sorrise Leonardo. Filippino voleva credere a tutto: tutti i pretesti, tutte le ragioni. Anni dopo dipinse un unicorno che immergendo il corno in un ruscello purifica l'acqua, così che la coppia di fronte a lui, un cervo e una cerva, possa bere: questa immagine è il simbolo dell'amore reso puro. Lui era l'unicorno, i cervi i suoi genitori.



PAOLO UCCELLO
Amava gli animali, in particolare gli uccelli, ma non si poteva permettere di comprare neanche un passerotto, e così li dipinse a casa sua: non potevi girarti senza vedere l'occhio di una bestia che ti guardava con un' intensità fiabesca. La casa era piena di voli, sembrava di sentire il tremito delle ali.

La notte la moglie lo chiamava a letto e lui dallo scrittoio rispondeva “Aspetta, sono qui con la prospettiva”.


SANDRO BOTTICELLI
Morì povero, solo, trascinandosi su due bastoni dentro un vento che lo allontanava dagli altri e lo avrebbe reso uno sconosciuto per secoli.  Poi, come emergendo dal mare della storia, rinacque e, bellissimo e irreale, galleggiando sui suoi quadri, approdò sulle coste di un'isola: il nostro tempo.