"Cosa si accende nella nostra mente quando vediamo un'opera d'arte, una chiesa, un museo della nostra città? C'è almeno una corda che vibra, un seme che germoglia, una voce che ci parli davvero? qualcuno ci ha insegnato a nuotare nel mare dell'arte del passato? (...) Per la maggior parte degli italiani oggi, il patrimonio artistico è come un'immensa biblioteca stampata in un alfabeto sconosciuto. (...) Per cambiare tutto questo è indispensabile ricominciare ad educare gli italiani al patrimonio. Educare vuol dire, letteralmente, tirare fuori dalle persone ciò che in esse è già, almeno in potenza. E gli italiani hanno bisogno di ricominciare a parlare, fin da bambini, la lingua che hanno parlato per secoli meglio di tutti gli altri: la lingua delle immagini, delle forme, delle figure, dei colori."
Quando Enzo Fileno Carabba mi disse che aveva iniziato a riscrivere Le Vite de' più eccellenti Pittori Scultori e Architetti di Giorgio Vasari (la prima edizione è datata 1550), non ho potuto non pensare alle parole di Montanari: all'importanza che può avere il dialogo tra gli uomini di oggi e quelli del passato, attraverso l'arte. Che sia scrittura di fronte a scrittura, illustrazione verso pittura, architettura verso scultura, poco importa. Rapportarsi all'arte del passato, studiarla, osservarla attentamente e magari appoggiarsi ad essa per farne di nuova è qualcosa che ci arricchisce, ci rende consapevoli di ciò che siamo ora e di ciò che siamo stati.
E' stato per me emozionante ripercorrere con la matita il San Giorgio di Donatello e scoprire, attraverso il chiaroscuro i volumi così lievi e nel contempo così profondi del bassorilievo; o immaginarmi il volto di Andrea del Castagno e disegnare il suo sguardo; colorare di rosso il sole che tramonta sul mare dove Fra' Filippo Lippi fu rapito dai pirati saraceni. Se è accaduto veramente non lo so, e non mi importa, perchè fino a poco fa per me Filippo Lippi era uno sbiadito ricordo di Accademia, un delicato pittore di madonne: ora non più, ora conosco il potere magico del suo disegno.
Preciso che io sto illustrando questi testi spinta da una forza sconosciuta; da quando Enzo, la scorsa primavera mi sottopose i primi capitoli e mi scrisse queste parole: "ho avuto la visione di te che le illustri, anche se capisco che può essere impegnativo", non ne posso fare a meno. Le visioni di quest'uomo, non so perchè, si realizzano spesso.
Pubblico qui le illustrazioni finora realizzate per questo progetto, accompagnati da brevi estratti dai testi di Enzo Fileno Carabba. Queste Vite sono state parzialmente pubblicate da Il Corriere Fiorentino; Enzo ed io, però, speriamo che prima o poi prendano...vita, appunto, anche in versione illustrata.
FILIPPO LIPPI
Un giorno se ne andava in giro per l'Adriatico, verso Ancona, sopra una barchetta insieme a certi amici, per divertimento. Furono catturati dai pirati saraceni, messi in catene e portati in Africa come schiavi. All'inizio fu terribile. Remò. Zappò. La prigionia durò un anno e mezzo. L'arte sembrava perduta per sempre. Una sera che era più morto che vivo, a Filippo venne voglia di raffigurare il padrone, il grande corsaro Abdul Maumen: senza dire una parola raccolse dal fuoco un carbone spento e gli fece il ritratto, vestito alla moresca, a figura intera, su un muro bianco. A tutti parve un miracolo, perché da quelle parti nessuno disegnava o dipingeva. Il padrone fu tanto colpito dalla sua arte che decise di liberare lui e i compagni. Filippo operò davvero un miracolo: invece di supplizio e morte ottenne libertà e affetto. Gloria alla forza che rende possibili simili eventi.
DONATELLO
Scolpì
una Maddalena distrutta dalla santità, ma con uno sguardo vertiginoso che
ancora tramortisce chi si trova di fronte a lei. Ormai le statue gli dicevano
poche e stentate parole, ma di un'intensità abbacinante. Stava diventando vecchio, aveva fatto molto, non
aveva niente. I soldi li teneva in una borsa appesa a una fune e chiunque –
amico o lavorante – prendeva quello che gli serviva. Non si sa come, i soldi
finirono. Allora Piero de' Medici, figlio di Cosimo, gli regalò un podere,
perché potesse vivere di rendita. Ma dopo un po' Donatello glielo rese dicendo
che preferiva morire di fame che pensare al vento e alle galline.
ANDREA
DEL CASTAGNO
Nacque
nel Mugello, in un posto quasi invisibile chiamato il Castagno, ai piedi del
Monte Falterona. Rimasto senza padre, fu accolto da uno zio che lo mise a fare
il pastore, per molti anni. Andrea si rivelò un pastore brillante, ci metteva tutto
se stesso. Ma vennero giorni di nuvole scure, giorni di pioggia nera, che era
anche una pioggia interna: è brutto quando ti piove dentro. Per fuggire dalla
pioggia capitò in un luogo dove non era mai stato. Un tabernacolo, dove uno di
questi pittori di campagna stava
lavorando a un'opera di poco pregio. A
volte è nelle opere di poco pregio che vibra la più grande felicità. Andrea non
aveva mai visto niente di simile, perché le pecore non dipingono. Fu assalito dalla
meraviglia: guardò attentamente cosa stava facendo quell'uomo e gli venne il
desiderio di imitarlo.
FILIPPO
BRUNELLESCHI
Un
giorno Donatello gli chiese: “Pippo, cosa ne pensi di questo crocifisso che ho
scolpito?”. Brunelleschi: “Bello. Ma senti, perché hai crocifisso un
contadino?” E Donatello: “Ah ecco. Fanne uno te allora”. Discutevano, ma sempre
si sostenevano e si spronavano. Pippo non si arrabbiava mai, non disse niente,
lavorò di nascosto. Mesi dopo invitò a
cena Donatello e con una scusa lo fece andare avanti da solo, così che nella
penombra si trovò a tu per tu con quel Gesù di legno che - tanto era
stupefacente - gli fece cadere tutte le
uova che portava nel grembiule per la cena.
BEATO
ANGELICO
Fra'
Giovanni da Fiesole cominciò giovanissimo a dipingere personaggi assorti nella
grazia, frastornati dalla luce. Una volta mangiò col Papa che gli offrì della
carne e lui non sapeva se accettarla, dato che non aveva avuto il permesso del
priore. Era così immerso nella regola da essere libero: si era scordato
dell'autorità del Papa. Amava sorvolare su tutto, forse anche per questo più
tardi fu detto Angelico, e successivamente Beato. Gli facevano schifo le azioni
del mondo e preferiva essere lasciato in pace. Avrebbe potuto comandare a
molti, gli sembrò un'inutile fatica. Non si arrabbiò mai con gli altri frati e
questo io stento a crederlo ma non posso escluderlo.
FILIPPINO
LIPPI
Chiese a sua madre:
“Perché papà che ha avuto una vita così agitata è riuscito a dipingere immagini così tranquille e io che sono così
tranquillo mi sento ribollire di immagini agitate?”. Lucrezia rispose: “Secondo
me perché...” Ma era già ripartito per Milano dove incontrò Leonardo da Vinci che gli disse: “Non importa
vedere il rigo nero”. “Nelle persone?” “Neanche nei quadri”. Imparò che a volte
è meglio non vedere tutto, sarebbe una noia. Leonardo gli raccontò la storia
dell'unicorno. “Se incontra una donzella dimentica la sua ferocia e le si
addormenta in grembo” “Davvero?” “Sicuro” sorrise Leonardo. Filippino voleva
credere a tutto: tutti i pretesti, tutte le ragioni. Anni dopo dipinse un
unicorno che immergendo il corno in un ruscello purifica l'acqua, così che la
coppia di fronte a lui, un cervo e una cerva, possa bere: questa immagine è il
simbolo dell'amore reso puro. Lui era l'unicorno, i cervi i suoi genitori.
PAOLO
UCCELLO
Amava gli animali, in
particolare gli uccelli, ma non si poteva permettere di comprare neanche un passerotto,
e così li dipinse a casa sua: non potevi girarti senza vedere l'occhio di una
bestia che ti guardava con un' intensità fiabesca. La casa era piena di voli,
sembrava di sentire il tremito delle ali.
La notte la moglie lo
chiamava a letto e lui dallo scrittoio rispondeva “Aspetta, sono qui con la
prospettiva”.
SANDRO
BOTTICELLI
Morì povero, solo,
trascinandosi su due bastoni dentro un vento che lo allontanava dagli altri e
lo avrebbe reso uno sconosciuto per secoli.
Poi, come emergendo dal mare della storia, rinacque e, bellissimo e
irreale, galleggiando sui suoi quadri, approdò sulle coste di un'isola: il
nostro tempo.